Fondazione Giuseppe Tatarella

I buoni – recensione di Franco Metta

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Buoni

Buoni                             I BUONI
di LUCA RASTELLO.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I ” BUONI” sono veramente buoni ?
O fingono di essere buoni per gli affari, la carriera, il potere, la vanita’?
I valori che i “buoni” propugnano sono veri ?
La legalita’ e’ un metodo, i buoni del romanzo ne hanno fatto un valore
assoluto.
Una sorta di vitello d’oro.
Che dona onori.
“Molti crimini sono migliori di questa legalita’. Molti criminali sono
migliori dei suoi sacerdoti”.
E’ la frase piu’ dura di un romanzo durissimo.
Spietato.
Che va letto.
E che sconcerta ancora di piu’ il lettore che conosce il vissuto dell’autore.
Gia’ esponente del Gruppo Abele. Collaboratore per anni di don Ciotti.
E come si fa a non vedere Ciotti, nella figura del sacerdote don Silvano.
Protagonista del libro insieme ad Azalea e a tanti altri.
Quanto di autobiografico, di esperienza vissuta, di verita’ c’e’ in quello che
scrive Rastello?
Non so rispondere,ovviamente.
Leggete e provateci Voi. Che avrete, io credo, i miei stessi dubbi, le mie stesse
perplessita’.
Pezzi di discorsi, dal contenuto ineccepibile, anzi esaltante.
Pronunciati da personaggi che sappiamo, dal libro, cinici, spietati, interpreti di
un copione, non dicitori di verita’.
Parole giuste, pronunciate da persone sbagliate (a pagina 168 per esempio).
Il bene e’ solo retorica?
I buoni sono solamente fini dicitori.
Rastello ci elenca anche le frasi chiave, le figure retoriche piu’ usate.
Senza sentimento sincero, per pura retorica cinica.
Ad Azalea si chiede di essere fedele.
Ma la ragazza vuole essere fedele ad una idea, non ad un uomo.
Verso quell’uomo potra’ essere leale, ma non fedele.
Tanto meno ciecamente.
Da superare, quindi, l’impatto con lo stile smozzicato, nervoso, sincopato, a volte
incomprensibile, delle prime pagine, per arrivare al dunque.
Con una metafora abusata si potrebbe dire del romanzo, che e’ un pugno nello
stomaco.
Ma il dolore fisico non rende l’idea del dubbio intellettuale.
Sul testo dopo le prime recensioni e le polemiche immediate e’ sceso il
silenzio.
Sdegnato o imbarazzato?

Franco Metta

Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


La pista nera – recensione di Franco Metta

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La pista nera

La pista nera           LA PISTA NERA
di ANTONIO MANZINI.

 

 

 

 

 

 

 

 

Un giallo.
Italiano.
Ben orchestrato.
Ma un pretesto. Puro, semplice, bel pretesto per farci fare la conoscenza con il
Vice Questore Rocco Schiavone.
Guai a chiamarlo Commissario.
Un poliziotto che avrebbe tutto per essere antipatico a tutti.
Arrogante, prepotente, maschilista.
Insulta tutti, offende tutti, non dice una parola buona a nessuno.
Fuma spinelli.
Scrocca le sigarette.
Concupisce le donne, senza discriminazione alcuna.
Purche’ respirino.
Bugiardo, inaffidabile, intrallazzato con delinquenti romani, che sono i suoi migliori amici.
Finito ad Aosta per punizione.
Per aver stroppiato, non arrestato, uno stupratore.
L’ opera contro costui la completera’ nel successivo romanzo,” La costola di Adamo” ,che ho letto prima di questo e che mi ha spinto a comprare questo.
Odioso e disonesto.
Usando la divisa sequestra ” fumo ” che si rivende per realizzare il sogno di una casa in Provenza.
Lontano dal mondo.
Se di uno cosi’ Ti innamori alla seconda pagina, significa che dietro al personaggio, la mano dell’ autore e’ toccata dalla grazia di Dio.
L’ opera e’, oltretutto, divertente.
Un paio di invettive sono finite nella mia agenda, Le scoprirete o nel romanzo o in un qualche mio comizio.
Embe’ se lo confessi, il plagio non e’ reato.
Il romanzo si legge di un fiato.
Un Venezia / Bari, andata e ritorno, in orario, basta.
Poi, chiudi il libro e pensi:
Vado ad Aosta a conoscerla questa canaglia.
Irresistibilmente simpatica.
Tenera.
Che non e’ incazzata, e’ solo disperata.
Perche’ ha perso Marina, la moglie amata perdutamente.
Con la quale chiacchiera teneramente, appena torna a casa.
Dopo aver amoreggiato con la povera Nora.
Subito prima e subito dopo, maltrattata, offesa, estraniata dalla sua vita.
Ma Nora e’ come me, lettore.
Lo ama, anche se non riesce a trovate una sola ragione per farlo.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti – recensione di Franco Metta

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Premiata ditta sorella ficccadenti

Premiata ditta sorella ficccadentiPREMIATA DITTA SORELLE FICCADENTI

di ANDREA VITALI.

Ha ragione Camilleri, che se ne intende, ovviamente.
Andrea Vitali sa raccontare.
Ha il dono, la felicita’ del racconto.
E’ come un commensale particolarmente brillante, immaginifico, che ha nella sua memoria tante, belle, intriganti, affascinanti storie.
E non vedi l’ora di sederti a tavola con Lui, perche’ cominci il racconto.
E Vitali racconta e ti rapisce.
E lo ascolti. Ti piace. Ti metti comodo.
Dimentichi persino il cibo nel piatto, il vino nel bicchiere.
Il cameriere ti infastidisce.
Silenzio. Andrea racconta.
E Andrea e’ leggero, divertente, accurato nel disegnare i suoi personaggi, ma al tempo stesso gradevole, privo di inutili approfondimenti, non indulge alle descrizione.
Per restare in tema culinario: “quel che basta”.
Storie intorno al lago.
Incastrati nella storia i personaggi in cui Vitali si e’ specializzato:
Il curato, Lui dice prevosto.
Il maresciallo dei Carabinieri.
Il tonto del paese.
E poi i mille e piu’ personaggi femminili.
Passa il tempo, Vitali narra e Tu l’ascolti rapito.
Poi……
La seduta della sedia comincia ad incollarsi ai pantaloni.
Il languore diventa fame.
La sete, vera e propria arsura.
Le facce dei personaggi cominciano a confondersi come le loro storie
personali.
Ma questo chi e’, cosa aveva fatto ?
Qualcosa comincia a sfuggirti.
Qualcos’ altro si complica.
” Ma quest’ altro, da dove spunta fuori ? ”
Semplicemente.
Il racconto, pur gradevole, pur scritto bene, e’ lungo.
Troppo.
Ti ha stancato.
Doveva terminare mezz’ora fa’.
Fuor di metafora: cento / centocinquanta pagine prima.
Quando il piacere era ancora vivissimo e la stanchezza non si era ancora
impossessato del lettore.
Non stremato, ma un po’ ” affaticato ” certo che si.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


La destra nel labirinto – Cronache da un anno terribile

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Biblioteca

LA DESTRA NEL LABIRINTO – CRONACHE DA UN ANNO TERRIBILE

di MARIO BOZZI SENTIERI

“Il 2013 è stato l’annus horribilis della destra italiana. È stato l’anno della diaspora politica e della sconfitta elettorale. È stato l’anno della condanna di Silvio Berlusconi e del suo  allontanamento dal Senato della Repubblica, l’anno della scissione di Angelino Alfano, ultima in ordine di tempo, dopo quella di Futuro e Libertà di Gianfranco Fini, di  Fratelli d’Italia ed ancor prima della Destra di Francesco Storace” – così in premessa del nuovo libro di Mario Bozzi Sentieri, “La destra nel labirinto – Cronache da un anno terribile” (Edizioni del Borghese, pagg. 132, Euro 16,00).
Scritti nell’arco dell’ultimo anno, un anno  significativo e convulso non soltanto per la destra ma per l’intero panorama politico italiano, i capitoli de “La destra nel labirinto”  presentano una scottante ed inquietante attualità. Non vi è infatti nessuno degli aspetti che hanno contraddistinto i recenti sviluppi della politica nostrana a non essere trattato o, quanto meno, toccato: dalla sconfitta elettorale e dalla proclamata uscita di scena di Berlusconi alla condanna di quest’ultimo per frode fiscale, dalla fine del Governo Monti e dal Napolitano-bis all’affermarsi prepotente dell’antipolitica grillina, fino alla riesumazione di sigle quali Forza Italia e Alleanza Nazionale che il “partito-contenitore” del Popolo delle Libertà sembrava aver messo in secondo piano e che oggi invece si ripropongono all’attenzione degli elettori con tutte le incognite e le riserve del caso.
In quest’opera l’autore si presenta come un medico che redige una diagnosi accurata dei mali di una destra che, dopo vent’anni di berlusconismo, appare stanca anche se non ancora priva di una certa vitalità e capacità propositiva. E, come ogni medico che si rispetti, Bozzi Sentieri appare altresì in grado, tra un capitolo e l’altro e nelle conclusioni a margine delle sue esposizioni spesso crude ed icastiche delle condizioni in cui versa la destra italiana, di delineare una o più possibili cure, senza mai trascurare il versante intellettuale di quella che egli stesso definisce una “battaglia culturale”, ai fini della quale non esita, in maniera alquanto provocatoria, a riproporre a destra una strategia di un’ “egemonia culturale” ispirata alle idee di un “mostro sacro” della sinistra marxista-leninista italiana del XX secolo, e cioè Antonio Gramsci.
Pur costituendo infatti un compendio di considerazioni e prese d’atto di carattere politico,  “La destra nel labirinto” è soprattutto e in ultima istanza un manifesto culturale e ideologico, come del resto appare evidente nel primo capitolo in cui l’autore ripercorre l’iter intellettuale di molti giovani dell’area nazional-popolare degli Anni Settanta e Ottanta, divisi tra la lucida ed equilibrata “Rivolta contro il Mondo moderno” di Julius Evola, con il suo ideale di uomo integrale in piedi tra le rovine, e l’appassionato romanticismo politico del socialismo fascista di Pierre Drieu la Rochelle, tra le suggestioni jüngeriane della mobilitazione totale e del “Trattato del Ribelle” e le categorie schmittiane di amico e nemico e del politico. Un itinerario, quello ricordato dall’Autore, in cui non pochi lettori potranno certamente ritrovarsi ed identificarsi e che li aiuterà, fidandosi di lui, a seguirlo meglio nella trattazione degli argomenti forse più contingenti e meno elitari, ma di sicuro valore pragmatico e strategico, di cui si compone un testo che, come resoconto dei recenti sviluppi politici inerenti alla destra italiana, si presenta alquanto completo ed esaustivo.
Con l’invito di fondo a non commettere gli identici errori commessi del passato, uscendo finalmente fuori dal “labirinto” delle  contraddizioni in cui, nel corso degli anni,  la destra si è persa, perdendo spesso le ragioni stesse della propria esistenza.

Per acquisti:
luciano.lucarini@pagine.net
tel. 0645468600

Per presentazioni e richieste copie saggio:
mariobozzi@libero.it


Diario di un giudice – recensione di Franco Metta

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Diario di un giudice

Diario di un giudiceDIARIO DI UN GIUDICE
di DANTE TROISI.

 

 

 

 

 

 

 

 

Da un Giudice che abbia letto e meditato su questo Diario, mi farei giudicare volentieri.
Vorrei che tutti i miei assistiti fossero giudicati da un Giudice come Dante Troisi.
Che vive ogni condanna come una sconfitta.
Questo diario e’ stato pubblicato per la prima volta nel 1955.
Per averlo scritto l’autore fu sottoposto a procedimento penale e sanzionato con la censura.
Pensate, che tempi.
Lettura interessante, per gli addetti ai lavori certamente.
Ma anche per chi, non addetto, abbia interesse per la Giustizia e per come questa funzione statale essenziale venga amministrata.
Si scrive di anni addietro, della procedura penale di epoca fascista, dei costumi di quell’epoca.
Ma la lettura e’ egualmente ricca di spunti di riflessione interessanti.
C’e’ la storia del ladro di due polli, condannato dal Pretore in primo grado a 18 mesi di carcere. Una enormita’.
Pena confermata dal Collegio, in cui sedeva Troisi, anche in appello.
E il Pretore, incontrando Troisi, gli chiede come abbiano mai fatto a confermare quello sproposito di condanna.
Che egli aveva inflitto, contando sulla futura prudenza e ragionevolezza del Giudice di secondo grado….
Intanto che loro si affidavano reciprocamente alla rispettiva fiducia e buon senso,il ladro di polli si fece diciotto mesi di gattabuia, nove per ogni pollo.
Non posso non citarVi testualmente un passaggio che,confesso, mi ha alquanto inquietato:
” I GIUDICI PARLANO DEL SESSO PIU’ SPESSO CHE ALTRI. FORSE PERCHE’ DURANTE L’ UDIENZA NON SI SA COME IMPEGNARE I PENSIERI IN OZIO”.
Diavolo. Non so se sia vero.
Ma ieri discutevo e il dubbio che il Tribunale stesso pensando al sesso, mentre io parlavo, mi ha reso un po’ nervoso.
Parlando di se’, di Giudici, non puo’ non parlare di Avvocati.
E mi riconosco molto in quello che Troisi intuisce sia la filosofia professionale, gli atteggiamenti esteriori, le condotte di molti.
Dedica un passo agli Avvocati che esercitano accompagnati dai figli, giovani laureati.
Un passo commovente e vero, per me che in quella condizione mi trovo.
Non ve lo cito.
Se volete ve lo andate a leggere, e’ a pagina 47.
Io lo trascrivo, ma solo in una mail privata.
Solo per Ale e Paoletta.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


Cazzimma – recensione di Franco Metta

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cazzimma

cazzimma

       CAZZIMMA
di STEFANO CRUPI.

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ un’opera prima.
L’ho comprato sulla fiducia.
Intrigato dal titolo, molto ardito.
Interessato sempre ai fenomeni criminali camorristici.
Tipicamente napoletani.
Per cento e passa pagine mi sono complimentato con me stesso per la felice intuizione.
Di Crupi sentiremo ancora parlare.
Scrive bene.
Descrive Napoli, in maniera ammaliante, anche se parla dei tanti limiti di questa citta’.
Anche il giovane protagonista esce dalla penna di Crupi in maniera credibile, reale, appassionata.
Il libro e’ anche una passeggiata.
Per i Quartieri.
Per la Napoli piu’ turistica.
Per i luoghi piu’ noti.
Qui vissuti come i posti in cui la storia di Sisto si sviluppa.
Oddio, un napoletano verace, che si chiama Sisto…boh…non sottilizziamo.
Le metafore sono geniali.
I vu cumpra’ che scappano all’arrivo dei Vigili sono “un’onda che si propaga per tutto il corso”; “si sollevano e scappano”.
Se vi e’ capitato – a me e’ successo, ma a Firenze – vi ci trovate.
Un’ onda. Vero.
I tossici / spacciatori, che “briciola su briciola” dal venduto ricavano la striscia per se’, sono magnificamente raccontati.
E i modi di dire, di definire.
“Sa campare”; “tiene cazzimma”; sono scolpiti.
Diventano anche per chi legge, lingua viva, parlata ed intesa, al di la’ dello stretto significato delle parole.
I boss, i sotto boss, i ragazzi di vita, le ultime ruote del carro criminale:
per tutti v’e’ una nicchia narrativa, in cui finiscono e in cui si incastrano.
Bene, ben fatto.
Ma poi?
Dopo questo esordio folgorante ( e’ mezzo romanzo, mica niente)?
Poi diventa “Il Padrino” parte quinta o sesta.
Americaneggia.
Si imbriaca, Crupi, di telefilm americani.
Troppo Sky….
L’Uomo di panza diventa Vito Corleone.
Il realismo tramonta.
Escono gli effetti.
Ed il libro si avvita e precipita.
Forse perche’ era il primo.
Aspettiamolo al successivo.
Con fiducia, anche se il rammarico per la delusione c’e’.
Specie considerate le premesse.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.

 

 

 

 

 

 

 

 


Guglielmo Marconi e l’omicidio di Cora Crippen – recensione di Franco Metta

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Guglielmo Marconi

Guglielmo Marconi                                            GUGLIELMO MARCONI E L’OMICIDIO DI CORA CRIPPEN
di ERIK LARSON

 

 

 

 

 

 

 

Secondo i miei standard non avrei dovuto leggerlo.
Invece sono rimasto inchiodato sino alla fine.
Ammetto: complici le vacanze pasquali.
Diversamente, non giurerei.
Inchiodato tra Guglielmo Marconi e Cora Crippe, moglie non fortunata del dottor Peter  Crippen.
Scopro che Guglielmo Nostro non era uno scienziato, in senso tipico, ma un praticone geniale ed instancabile nel lavoro.
Cora Crippen e’ annunciata nel titolo come morta ammazzata, ma per buona meta’ del romanzo e’ viva, vegeta e un po’ zoccola.
Che ci incastra Marconi con Crippen?
Nulla proprio.
Non si conosco, non si conosceranno, non si incroceranno mai.
Ma alla fine un collegamento c’e’.
Il libro e’ scritto bene.
Soprattutto e’ frutto di un lungo, attento, interessante lavoro di documentazione:
su uno dei delitti che maggiormente interesso’ nel primo novecento la opinione pubblica mondiale;
sugli esperimenti, tutt’altro che scientifici;
sulle vicende societarie;
su quelle personali del nostro Guglielmo.
Che vi diro’, ne esce un poco a pezzi.
Se avrete l’accortezza di…sfumare…..le parti in cui il buon Larson indulge nella Sua confessata mania dei particolari specifici, poco interessanti per chi non abbia in animo di inventare la radiotelegrafia o di sezionare un
qualche morto ammazzato, il libro si legge e volentieri.
Salvo alla fine annotarsi:
” cercare in libreria qualcosa su Guglielmo Marconi, qualcosa di agiografico”.
E che cavolo.
Era pur sempre Accademico d’Italia e Amico personale del Duce.

 

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella


Il quinto testimone – recensione di Franco Metta

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Quinto testimone

Quinto testimone  IL QUINTO TESTIMONE

   di MICHAEL CONNELLY

A me questo Mickey Haller, avvocato con studio sul sedile posteriore di una Lincol, piace da morire.
Ma mi sconcerta la decisione presa alla fine del romanzo.
Mickey si candida Procuratore Distrettuale.
INACCETTABILE.
Tradisce….
Passa o vorrebbe passare dall’altra parte.
Lascera’ i cattivi, la difesa, per passare ai buoni, l’accusa?
Che malinconia, se fosse cosi’. Ma torniamo a Noi.

C’ e’ la crisi.
Non c’e’ denaro. Nemmeno i criminali hanno i soldi giusti per permettersi un penalista di fiducia.
E Mickey si ricicla civilista.
Difende i proprietari di immobili che non hanno denaro per onorare i mutui assunti.
Ma gia’ alla ventesima pagina, una delle pignorate, che rischia di perdere la propria casa, finisce dentro per omicidio.
E Michey torna al vecchio amore. Il diritto penale!
Michey mi piace, perché’ dice cose cosi’:
” Non ha nessuna importanza che i nostri clienti siano colpevoli o innocenti.
Hanno tutti diritto allo stesso servizio”.
Veramente nel testo la frase e’ di Cisco, l’investigatore, ma ovviamente conta poco: e’ Connely che spiega uno dei fondamenti della difesa penale.
Quello meno pubblicizzato, ma piu’ vero di tutti.

Oppure dice:
” Il movente e’ come il timone di una imbarcazione. Se lo togliete, l’imbarcazione si muovera’ secondo i capricci del vento”.

E come contro esamina Mickey…. levati……

Il processo sembra abbordabile.
L’accusa dispone di un unico testimone, circostanziale.
Ma poi saltano fuori altre prove. Prove decisive.
Per Mickey, e per Lisa la sua cliente, si mette male. Male davvero.
L’ elemento decisivo ,il vostro scriba, l’aveva intuito subito.
40 anni di Corti di Assise non si imbrogliano, nemmeno nei romanzi.

Il testo vi prendera’ e vi coinvolgera’.
Se avete una minima propensione allo studio delle tattiche processuali, alla maniera di impostare una strategia, di porre le domande e di immaginare una condotta processuale,il romanzo non potra’ che piacerVi.
Non racconto altro per rispetto di chi leggera’.
Soldi spesi beni.
E se volete, ve lo presto pure.
Con impegno alla restituzione. Perche’ anche questo Connelly va riposto in quel preciso angolo della biblioteca.
Dove Haller fara’ amicizia con Jo Antonelli di Buffa;
con Paul Madriani di Steve Martini e con gli altri “colleghi “.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella


L’onere della toga – recensione di Franco Metta

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L'onere della toga

L'onere della toga

L’ONERE DELLA TOGA

di LIONELLO MANCINI.

 

 

 

 

 

 

 

I Magistrati italiani che svolgono le funzioni di Pubblico Ministero sono circa due mila.
Lionello Mancini, giornalista economico, improvvisamente e perdutamente innamoratosi della cronaca giudiziaria, ne sceglie cinque.
Non tra i piu’ noti.
Non con nomi adusi alle cronache.
Cinque PM raccontati attraverso una o piu’ indagini a loro affidate.

Anzi, quattro pubblici ministeri.
Che’ il quinto e’ Cuno Jacob Tarfusser, Procuratore Capo di Bolzano, del quale si narra in riferimento alla totale e completa riuscita di opera che pareva impossibile ed irrealizzabile: la riorganizzazione dei servizi e della struttura organizzativa della Procura di Bolzano.
Sara’ per la vicinanza al confine, grazie al dottor Tarfusser, la Procura di Bolzano sembra, per efficienza, una Procura tedesca….
Chissa’ se ci darebbe riuscito a Reggio Calabria, perche’ quella Bolzano era….

Il libro e’ interessante.
Le indagini raccontate sono le piu’ diverse.
Alessandra Dolci e’ il PM che ha scoperto la ndrangheta in…Padania….con buona pace di Maroni e Bossi.
Fabio Di Vizio ha condotto l’indagine per reati economici e tributari, sconvolgendo il paradiso fiscale e dei riciclatori, sorto in quel di San Marino, a due passi dalle spiagge della riviera romagnola.
Marco Ghezzi era capo della divisione soggetti deboli.
Intesi questi – donne e bambini – quali parti offese di reati atroci.
Lucia Musti viene raccontata attraverso l’indagine, questa piu’ nota al
pubblico, sul rapimento e l’omicidio di Tommaso Onofri, il piccolino di 18 mesi.

Bel libro,interessante.
Si legge in un fiato.
Un difetto?
E’ un po’ dolciastro, elegiaco.
I cinque Magistrati descritti meritano ogni lode e ogni apprezzamento.

Manca la precisazione, vera, che pero’ non tutti i due mila, meriterebbero un posto nel racconto.
Piccolo neo, apparso evidente, al penalista anziano.
Che ne ha ammirati tanti, come questi cinque.
Ma incontrati anche altri….

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


House of cards – recensione di Franco Metta

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                                                                                                                  HOUSE OF CARDS

di MICHAEL DOBBS

 

 

 

Voi compratelo.

Leggetelo.
Se non Vi sara’ piaciuto, Vi rimborso di tasca mia.
Ma non succedera’,non puo’ succedere.
Salvo imbrogli e imbroglioni.

Un romanzo crudo e crudele; spietato come F. U., il suo protagonista.
E’ l’Inghilterra del dopo Thatcher.
E’ il partito conservatore.
E’ la storia di una vendetta – per non essere stato nominato Ministro – che si
trasforma in una cavalcata trionfale verso il Potere.

Morti, diffamati, ingiuriati fanno da cornice a questa implacabile ordalia.
Sesso, droga, intrighi, congiure.
L’ autore in una recente intervista – il romanzo e’ stato scritto venti anni
fa’ – ha dedicato il testo a tutti i politici, augurandosi che dallo stesso
vengano ispirati a fare l’esatto contrario.
Difficile che accada.

Ma e’ l’unica ed ultima speranza.

O si trova la maniera di imporre per legge la onesta’,la lealta’,la coerenza e
la fede nei principi.
Oppure non restera’ che cercare, nella giungla dei politici da House of Cards
quelli che fanno eccezione.

Dunque, piu’ che i politici, questo libro di dovrebbero leggerlo i cittadini.
Che imparerebbero tante cose.
Sulla politica, ma anche sulla editoria, sui giornalisti, sui lobbysti, sulle
puttane, non in senso figurato, ma in senso letterale, che il potere attrae.

Essendo la politica la strada del potere.
Comandare e’ meglio che fottere ?
Cazzate.
Chi comanda fotte, chi non comanda non fotte.
Ne’ metaforicamente e nemmeno letteralmente.

Non vi perdete i corsivi ad inizio di ogni capitolo.
Vetriolo puro.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


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