Fondazione Giuseppe Tatarella

Identici – recensione di Franco Metta

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Identici

Identici       IDENTICI

di SCOTT TUROW.

 

 

 

 

 

 

 

 

Una boiata.
Pazzesca.
Mi dispiace per Scott Turow, un romanziere importante.
Ma evidentemente c’ era un contratto da rispettare; aveva bisogno di vile, quanto utile, denaro.
Certo e’ che nonostante non avesse una idea, che fosse una, ha partorito questa boiata.
Infinita.
Immaginate un panino.
Non di quelli imbottiti con ” coerenza “, ma un panino di pane raffermo, dentro al quale infilare di tutto, dalla mortadella al sottoaceto, al broccolo.
Un miscuglio di sapori, tanto miscuglio da essere insipido.
Una ispirazione narrativa evidentemente inaridita, che si cerca di far rifiorire, inventandosi un racconto assurdo, intrecciato ad altre mille storie.
Complicate, intorcinate, complessivamente assurde.
Di una noia mortale.
Difficili anche da ricordare, una per una.
” Americanate ” le chiamo io.
Storie assurde, raccontate con sussiego.
Non anticipo la trama, caso mai qualcuno, onostante tutto, voglia spendere inutilmente il prezzo di copertina.
Vi dico solo di figli di uno che non sono tali.
Di un altro, che tutti considerano figlio, ma che figlio non e’.
Una comitiva di spostati, chissa’ perche’, immaginati da Scott Turow come di origine greca.
Malavitosi anche, forse per togliere l’esclusiva agli Italiani.
Turow alla fine prova anche a spiegare a chi e a cosa si e’ ispirato.
Non ce ne potrebbe fregare di meno.
Ridateci Turow di “Presunto Innocente”, dell ” Onere della prova “, di ” Prova d’appello “.
E per favore, se non hai niente da scrivere, gioca a golf.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


La tela del doge – recensione di Franco Metta

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La tela del doge

La tela del doge

    LA TELA DEL DOGE

di PAOLO FORCELLINI

 

 

 

 

 

 

Non e’ un “giallo” .
Piuttosto la storia di una indagine, di una normale indagine di Polizia, in un normale Commissariato.
Con la non trascurabile particolarita’ che si tratta del Commissariato di Polizia di Fondamenta San Lorenzo, in Venezia.
Un altro romanzo iscritto al filone, che va di moda da qualche tempo, dell’investigatore italiano.
Anzi, del poliziotto italiano.
Simpatico, fuori registro (qui Marco Manente e’ un alcolizzato, si scopa le sospettate, non rispetta Magistrati e Superiori, insulta subordinati, quando non concupisce subordinate).
Uno con cui farete subito amicizia: cialtrone, di dubbi principi morali, ma simpatico a pelle.
Si legge come gradevole passa tempo….fino a quando non finisce in una “americanata” ridicola, con Ministri ladri di quadri (che…poi….finiscono arrestati…..ma dove? In Italia….ma va), cose inverosimili, vicende tragicomiche, in cui il simpatico Manente che avevamo conosciuto all’inizio, sbronzo e scanzonato, non meritava di finire come un qualsiasi detective americano dei canali Sky.
Dunque?
Si puo’ leggere, se volete, ma forse meglio usarlo come guida turistico eno gastronomica, se avete in programma una gita a Venezia.

Bevete:
” Terre Alte ” di Livio Felluga;
” Breganze ” bianco,superiore;
” Marzemino “;
” Sauvignon ” dei Colli orientali del Friuli;
” Picolit ” vino da meditazione;
” Muller Thurgau “;
” Gewurztraminer ” vino altoatesino del maso Nussbaumer;

Mangiate:
“Da Remigio,in Salizzada dei Greci,canoce (le nostre cicale) lessate e condite olio,limone,pepe prezzemolo;
Alla Osteria “Al Portego”, uova soda con acciughette, misto di capesante e peoci, moeche fritte, granchi della laguna,catturati nel momento della muta, quando si liberano della corazza e diventano teneri e deliziosi;
Alla Osteria Santa Marina,ma occhio: Manente ci porta una donna raffinata, da conquistare; tanto ” osteria ” non dovrebbe, poi, essere; si mangiano cappelunghe e carpaccio di capesante con fois gras affumicato, tagliolino nero in busara di astice, scampi in saor di porro e zenzero;
In Fondamenta Bragadin al “Cantinone Storico”: risotto di go (pescetto della laguna introvabile), coda di rospo con contorno di articiochi.

Visitate:
Campo San Lorenzo, pensatoio di Manente;
Ponte della Tetta; esiste: e’ il posto dove le baldracche della Serenissima, con tanto di licenza, nei secoli andati,affacciandosi alla finestra,mettevano in mostra la loro mercanzia;
Campo SS Apostoli, venendo per Strada Nuova;
Campo Santo Stefano, di una bellezza commovente;
Campo S. Bortolo, dove i veneziani, non i turisti, si danno appuntamento, sotto la statua di Carlo Goldoni;
Scuola Dalmata, una realta’ museale preziosa,uno scrigno, assai poco valorizzato.
Infine, toglietevi lo sfizio di comprendere perche’:
Il veneziano beve un “un ombra”;
Cos’e il “mozzo da culo”;
Colleoni a che deve il proprio cognome;
Chi era soprannominato “cagalibri”;
Carnevale che origine ha.
E gia’ che siete a Venezia, una puntatina ad Abano ci sta!
All’hotel Trieste e Vittoria il generale Diaz scrisse il bollettino della Vittoria.

Franco Metta

Per la Fondazione Giuseppe Tatarella


Il partito del capo – recensione di Franco Metta

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Il partito del capo

Il partito del capo

                                                  IL PARTITO DEL CAPO
di FABIO BORDIGNON

 

 

 

 

 

 

 

 

Un testo, tanto ignorato dai media, quanto indispensabile per comprendere la politica: oggi.
Si parte con Antonio Gramsci: “Finche’ sara’ necessario uno Stato, finche’ sara’ storicamente necessario governare gli uomini, qualunque sia la classe dominante, si porra’ il problema di avere dei capi, di avere un capo.”
Si continua con la indiscutibile constatazione della avvenuta “personalizzazione” della politica, ad ogni livello.
Anche a livello territoriale.
Si dilatano a dismisura gli spazi politici occupati dai singoli leader. Nazionali o locali.
Il cittadino elettore tende sempre di più a compiere delle scelte di voto personali,
svincolate dal condizionamento dei partiti.
Questa situazione, che non credo sia oggettivamente discutibile, é il frutto, essenzialmente,
dell’indebolimento dei partiti tradizionali.
Ma se e’ vero che il tempo dei partiti di massa é scaduto, é altresì vero che la società si é destrutturata.
I cittadini tendono ad avanzare istanze sempre più diversificate.
La lettura onnicomprensiva del mondo attraverso le lenti della ideologia é uno strumento ormai inadeguato.
Ma attenti a dirlo al barbuto segretario del PD di Cerignola, potreste provocargli una crisi esistenziale definitiva ed irreversibile.
Attraverso la personalizzazione della politica si accorciano le distanze tra i cittadini e la politica.
E si scatena la caccia al leader, che non è, non può essere, puramente e semplicemente colui o colei che in un dato momento storico é a capo di qualcosa di politico.
Quello o quella sarà il capo, come in stazione ci sarà pure un capo/ stazione, con il berrettino rosso.
Anche se il titolo evoca il capo, non dimenticatevi che non cerchiamo per definire il fenomeno della personalizzazione della politica un caporale di giornata.
Cerchiamo un leader.
Che disponga di quello che Nye chiama il soft power.
Un certo tipo di potere che fonda carisma e capacità di comunicare efficacemente.
I candidati che conquistano gli elettori e, quindi, diventano leader sono quelli “capaci di tessere racconti emotivamente persuasivi su se stessi e sui loro avversari, quelli capaci di far provare alla gente i loro stessi
sentimenti” (Westen).
Da mandare a memoria i passaggi del testo in cui si fa chiarezza sulla definizione e sulla stessa essenza di due termini in politica assai abusati.
Ingiustamente bistrattati, da sciocchi quanto ignoranti esegeti.

POPULISMO.
Secondo molti sociologi e politologi é la radicale contrapposizione tra un popolo puro e morale ed una elite corrotta.
Loro, i nemici del popolo, sono i parassiti, gli appartenenti ad ogni specie di casta, i burocrati, i tecnocrati.

ANTIPOLITICA.
Come il populismo si basa su una visione della realtà di tipo binario.
Polo negativo é la cattiva politica.
L’anti diventa mera contrapposizione, non già alla politica tout court, ma alla mala politica.
Antipolitica diventa così quanto si contrappone ad aspetti degenerativi come la corruzione in crescita smisurata, lo scambio politico, gli intrecci perversi tra politica ed interessi, tra politica e potentati economici.
Senza trascurare come bersagli della antipolitica, che – dunque – altro non é che anelito alla buona e lotta alla mala politica, siano le lentezze decisionali, gli stalli della politica politicante, le miserie correntizie.
Difficilmente populismo e anti politica resteranno estranee alla personalizzazione della politica che transita e si afferma attraverso la figura del leader.
Questi,per quanto figura ovviamente fuori dal comune, perché impregnata dal carisma, deve al tempo stesso essere capace di raffigurarsi come uno del popolo.
Proprio perché é tramite il leader che il popolo si riavvicina alla politica.
Il leader dovrà il più possibile essere estraneo al potere politico ed in sintonia con la gente.
Sarà l’outsider rispetto all’apparato.
La personalità in altri settori prestata alla politica.
L’antitesi del politico di professione.
Soggetto fattosi da sé.
Che sfida le oligarchie di partito.
Il leader sarà opposizione permanente. Opposizione anche quando raggiungerà incarichi di responsabilità.
Non dimenticandosi, né prima né dopo, del tipo di linguaggio: lontano dall’autoreferenziale politichese, vicino al linguaggio comune della gente. (Nota “molto” personale: l’uso del dialetto non risponde forse a questa esigenza?).
La centralità del leader finisce sostanzialmente per iscriversi alla esigenza di riannodare e rivitalizzare i rapporti tra rappresentanti e rappresentati.
Questa la summa della riflessione del sociologo Bordignon sulla personalizzazione della politica.
Alla fine, giudicata, non un male necessario, ma un bene indispensabile.
Il libro prosegue con la narrazione storica del percorso della personalizzazione della politica, da destra a sinistra, fino a Grillo.
La analisi e’ completa.
Fin troppo dettagliata (qui ho largamente saltato).
Puntata particolarmente sulle ambasce della sinistra, descritta come tutt’altro che contraria alla personalizzazione, anzi; ma incapace di esprimere un leader, che non sia il marginale affabulatore di Terlizzi.
Ma ora …….. Renzi c’é.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


Il concerto – recensione di Franco Metta

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Il concerto

Il concerto                IL CONCERTO
di ALAIN CLAUDE SULZER

 

 

 

 

 

Marek Olsberg e’ un pianista di fama mondiale, adorato dagli appassionati di musica classica e di pianoforte.
Terra’ un atteso concerto alla Philarmonica di Berlino.
Attesa spasmodica; tutto esaurito.
E, dunque, spettacolo dentro lo spettacolo, Sulzer spalanca il sipario su questo concerto.
Appaiono in primo piano il pianista,ovviamente,ma anche la sua assistente, personaggio non di secondo piano per come e’ stato disegnato e narrato.
Come una telecamera che stia compiendo una “panoramica”, dal palco alla platea, il romanzo si apre alle storie di alcuni spettatori.
Le due amiche, mica tanto amiche.
La zia e la nipote, con colpo di scena incorporato.
L’agente teatrale gay.
Ma anche, fuori dal teatro, ma in qualche modo legati alla vicenda “concerto”:
il cameriere onesto, buono, simpatico, ma…l’uomo di affari che preferisce la escort al concerto ( bunga bunga alla berlinese ), anche qui con sconcertante sorpresa finale.
Ma una sorpresa c’ e’ anche all’interno dello svolgimento del concerto.
Precisamente mentre Marek sara’ impegnato nella Sonata Opera 106 di Beethoven.
Sorpresa che non vi svelo.
Il romanzo mi e’ molto piaciuto e me lo sono bevuto in un fine settimana.
Stranamente non e’ stato condiviso il mio giudizio dalla prima persona con cui mi confronto solitamente, e non solo sui libri letti.
Chissà se qualcuno vorrà far pendere il proprio giudizio dalla parte mia o a favore di Paola.
Il concerto, il pianista mi hanno subito evocato l’evento del 22 febbraio prossimo,organizzato dalla Cicogna.
Intitolato al Fattore C, inteso come talento e qualità artistiche dei Cerignolani, quando avremo ad intrattenerci un grande pianista,un “collega” di Marek, il nostro Rosario Mastroserio.
Serata che attendo con ansioso piacere.
E senza paura che il concerto…..

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


Il padre infedele – recensione di Franco Metta

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Il padre infedele

Il padre infedeleIL PADRE INFEDELE
di ANTONIO SCURATI

 

 

 

 

 

Un libro importante. Da leggere.
A me non e’ piaciuto.
Ma questa e’ una questione di gusto soggettivo.
Consiglio egualmente la lettura,a padri,mariti…. in servizio…. o aspiranti.
E’ scritto in un linguaggio molto ricercato,attento,dotto.
Vi capitera’ di leggere…. ” erotto in un pianto convulso ” per esempio.
Da far studiare a coloro in stato di perenne stitichezza espressiva.
Mi vengono in mente quelli che spesso ascolto in Consiglio Comunale e che, poi, tengono anche rubriche radiofoniche.
Persone che vivono da decenni, usando al massimo cento parole. Scurati sarebbe utile.
Lo stesso dicasi per molti colleghi,assassini seriali di poveri congiuntivi.
Scurati andrebbe non solo letto, ma studiato, persino.
E’ la storia di un laureato in filosofia, con tesi su Hegel, che si dedica all’arte culinaria.
Racconta i Suoi affetti, i Suoi amori, i Suoi rimpianti, i Suoi tradimenti, il Suo essere marito, il Suo essere padre.
Scritto bene, dicevo; con introspezione psicologica sicuramente apprezzabile.
Solo, per me sia chiaro, un po’ troppo scontata, prevista, gia’ letta.
Il protagonista, fiero single, finisce per decidere di sposarsi influenzato dallo spot della Barilla…..
Se ci pensate, e’ una ” trovata ” narrativa intrigante, ma anche gia’ sentita, gia’ largamente commentata, quindi, non originalissima.
Ma: Alt !
Non voglio influenzare oltre il Vostro eventuale giudizio.
La parte sicuramente piu’ coinvolgente, oltre a quella del rapporto con la figlia appena nata (struggente),
e’ quella dedicata al sesso. Al sesso nel matrimonio, in particolare.
Al sesso fedifrago, anche.
A pagina 92, ho goduto.
Il protagonista e’ stato sous – chef della Antica Osteria della Pesa.
Via Pasubio, a Milano.
Esiste. Ci mangio regolarmente, benissimo, quando sono a Milano.
In sala una lapide dedicata ad Ho Chi Min, che li’ ha mangiato negli anni trenta.
Ma anche, dico in sala, una affascinante, deliziosa signora, sempre elegantissima, da anni rigorosamente vestita solo di bianco e di nero.
Con scicchissime scarpe bicolori: nel senso che una e’ bianca e l’altra nera.
Deliziosa.
E anche in questo torna questa mia strana relazione con Scurati.
Suggerisce il ristorante che frequento, siamo in sintonia, dunque.
Ma li’ Lui mangia cervella fritta e ossobuco.
Io risotto giallo e cotoletta a ” recchia ” di elefante, inarrivabili.
E, Voi che potete, zabaione caldo e lingue di gatto.
Magici.

Franco Metta
per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


Giorni Bugiardi. Primarie. Elezioni. Quirinale. Così poteva cambiare l’ Italia – Recensione di Franco Metta

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Giorni bugiardi

Giorni bugiardiGIORNI BUGIARDI.
Primarie. Elezioni. Quirinale.
Così poteva cambiare l’ Italia.

di   STEFANO DI TRAGLIA E CHIARA GELONI.

 

 

 

Stefano Di Traglia e Chiara Geloni sono ” componenti della war rooom ” di Pierluigi Bersani.
Se la cosa Vi fa ridere, non e’ colpa ( o merito ) mia: la frase e’ ripresa pari pari dalla prefazione di Gianni Riotta.
Il merito del testo e’ confermarci in quel che molti pensano del PD, almeno di quello ante Renzi, in attesa di formulare un giudizio compiuto su quello di Renzi.

Narcisismi, piccolezze, ignoranze, vendette da quattro soldi: descritti tutti i vizi con cui questo partito continua a rovinare e distruggere il proprio sogno. Istinto autolesionistico alla ” Tafazzi “, che Riotta descrive cosi’,anche in riferimento alla nuova ragione sociale del PD di ” Enrico e Matteo “: ” ….faziosi,divisi,spaventati dal futuro,ricattati dal passato che non passa mai “.
Poco da stare allegri per chi in buona fede crede in un partito che chiede il “cambiamento di tutta l’ Italia, tranne che del PD medesimo ” (Riotta,in conclusione della prefazione).

I Giorni bugiardi sono quelli del post elezioni politiche; quelli dell’ incarico a Bersani; quelli delle concitate giornate che precedettero la elezione ( ri elezione ) di Giorgio Napolitano.
Intriga la ricostruzione ( storia e’ una parola grossa ) del massacro politico di due fondatori del PD: Romano Prodi e Franco Marini.

E, pur non esplicitamente, il libro indica, se non i nomi, ma di sicuro l’area, da cui provenivano i famosi ” 101 ” traditori, che affossarono, in particolare, la candidatura di Romano Prodi. Innegabile un senso di smarrimento nel pensare che i “101” sono esattamente ancora li’; che ad un partito cosi’ drammaticamente e realisticamente descritto siano affidate oggi le maggiori responsabilita’ di Governo. Mha……..

Oggi tutti renziani,quando,non il secolo scorso,ma appena una manciata di mesi or sono,di Renzi,che di Lui parlava, Franceschini, renziano oggi di ferro, diceva: ” Nel PD ci sono troppi galli,convinti che il sole sorga solo quando cantano loro”. Oggi sono tutti con quel gallo,ma se il racconto ispira una morale, questa e’ quella del non si sa ancora per quanto.
Le prime 150 / 170 pagine potete sfogliarle,senza leggere: Vi perdete solamente una stucchevole elegia di PL Bersani, di cui francamente non si sentiva il bisogno,specie perché’ le note elegiache vengono da chi aveva condiviso tutto l’ impegno e le scelte dello stesso Bersani. E chi si loda,si imbroda.

Dopo il racconto e’ piu’ interessante, vivo; molto piu’ obbiettivo, tanto piu’ efficace diventa quanto piu’ amara e’ la riflessione.
Due ultime citazioni. La scoperta dei nuovi soggetti sociali improvvisamente diventati deboli, di cui, insieme a quelli che deboli erano gia’ prima, la sinistra dovrebbe occuparsi. Auspicio tuttora irrealizzato.
L’altra, sempre dalla prefazione di Riotta ( in proporzione,dunque,la parte piu’ interessante del libro ), nel brano in cui, pur scrivendo di altro, sembra riferirsi, anche, al M. P. La Cicogna:
” …. verificarsi di un fatto mai visto nella storia dei sistemi politici, cioe’ una forza che DAL NULLA RAGGIUNGE IMPROVVISAMENTE IL 25 per cento….”

Cosi’ rimbrotta il PD Gianni Riotta ( e potrebbe benissimo essere il PD di Cerignola,il soggetto): ” MANCA DEL TUTTO LA PERCEZIONE STORICA DI QUEL CHE STA SUCCEDENDO”.
Manca la percezione storica; non puo’ non mancare se si e’, come prima si diceva, faziosi,divisi, spaventati dal futuro, ricattati dal passato, che non passa mai.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella


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